giovedì 9 gennaio 2014

Un libro...un film...- The black dahlia



Ormai, dopo la citazione di "American horror story" credo che tutti conosceranno più o meno l'agghiacciante e purtroppo reale vicenda di Elizabeth Short detta "La dalia nera", un'aspirante attrice trovata morta e orrendamente mutilata nella Los Angeles del '47. Questo film, tratto dall'omonimo libro di Ellroy, prende le mosse dalla suddetta vicenda di cronaca nera cui si legano anche le vite dei protagonisti Leland Blanchard e Dwight Bleichert.




Bucky e Lee, questi i soprannomi dei due personaggi principali, sono i poliziotti incaricati di risolvere il caso Dalia nera. Entrambi ex pugili, passeranno dall'essere avversari ad inseparabili amici uniti dall'amore per Kay e dall'ossessione per Betty Short. Nel film, diversamente dalla realtà dei fatti, Bleichert riuscirà infine a scoprire l'identità dell'assassino, anche se non è spiegato il motivo per cui non la rivelerà mai e questo costituisce il punto più lontano dallo scritto di Ellroy. Arrivati ormai alla quinta puntata della rubrica "Un libro...un film..." curata da me e da Laura (La biblioteca di Eliza) avrete ormai capito che la tesi da cui siamo partite può dirsi ormai pressoché confermata: il libro è sempre di gran lunga superiore e questo, nella maggior parte dei casi, dipende dai vasti tagli apportati al testo originale, quasi sempre fatti secondo il criterio "mosca cieca". E' ovvio che un film oltre una certa durata non può andare a meno che non si desideri deliberatamente tramortire lo spettatore, ma perchè, perchè eliminare o modificare il fondamentale e non il superfluo? 
E dire che nel caso di "Dalia nera" di superfluo ce n'era eccome! Come la mia collega ha evidenziato, il libro a tratti si perde, nel senso che sembra arenarsi in questioni sterili e senza via d'uscita. Queste parti, che l'autore utilizza per rendere al meglio il senso di giro a vuoto cui porta l'ossessione, tematica portante del romanzo, potevano essere agevolmente eliminate e affidate semplicemente all'interpretazione degli attori. Invece, probabilmente anche a causa di un'evidente carenza sul piano attorale, si è preferito cambiare alcune sequenze e, ritocchino dopo ritocchino, si arriva a creare un mostro. No, non mi riferisco agli zigomi della Ferilli, ma al finale del film da cui, chi non ha precedentemente letto il libro, non ci cava che poche e a tratti illogiche conclusioni.





 Ho inoltre già accennato alla deludente prova del cast stellare: Josh Hartnett più che in preda all'ossessione sembra perennemente sotto l'effetto di una qualche droga pure scadente, a giudicare da quanto è imbambolato; la fatalona Johansson è più espressiva quando dice giustamente "I'm not an actress" nello spot D&G, mentre Hilary Swank che adoro quasi sempre, qui non mi ha convinta del tutto, un po' fuori ruolo. Gli unici due che si salvano da questa improvvisa moria di abilità recitative sono Aaron Eckhart, bugiardo, strafottente e seducente come non mai, e Mia Kirshner, la quale, seppure ingiustamente relegata in un ruolo secondario, fa di Betty Short la protagonista ideale e materiale del film ed in poche scene commuove coi suoi occhioni malinconici, diverte con la sua civetteria, sorprende con la sua ingenuità. 



                                  



                                  



                                  


E dopo aver così distrutto il povero Brian De Palma (non che solitamente non lo apprezzi, anzi! Proprio per questo l'amarezza è stata doppia!) passiamo al punto di forza del film: l'atmosfera. La Hollywood dei tardi Quaranta, anche se ricostruita per un problema di budget in Bulgaria, è perfettamente resa da quel geniaccio nostrano di Dante Ferretti e le atmosfere dark tipiche del genere noir arrivano precise ed esatte come quelle del libro. 
Prima di concludere vi lascio un paio domande che tormentano i miei sogni e a cui spero sappiate rispondere: 
1) Ma voi veramente trovate che la Swank e la Kirshner si somiglino? 
2) Perchè cambiare il cognome di Madeleine da Sprague a Linscott nella versione cinematografica? -Stessa domanda che mi feci anche nel caso di Pat People/Solitano ne "Il lato positivo"-

Insomma, con tutto il rispetto per il Regista De Palma, un classico esempio di capolavoro mancato! 




3 commenti:

  1. il libro non l'ho letto. sul film sono d'accordo sia un capolavoro mancato, però tutto sommato l'ho trovato comunque parecchio affascinante, proprio per i meriti che sottolinei: l'atmosfera e una strepitosa mia kirshner. che no, per me non assomiglia per niente a hilary swank (per fortuna della kirshner eheh)

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  2. non ho letto il libro, ne visto il film....
    mio malgrado perché avrei voluto.
    aspetto un passaggio su sky, o sul digitale terrestre, per potermelo godere!

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  3. Non ho letot il libro e manco visto il film, ma mi hanno sempre ispirato molto entrambi!

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